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Dune, Tenet e MadMax, ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare i film non basati sulla trama

Dune, Tenet e MadMax, ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare i film non basati sulla trama

Un anno fa ho fatto un esperimento. Ho preso Tenet e l’ho guardato per la seconda volta (e poi una terza) con un Taccuino sotto mano. La mia domanda era solo una:

Di cosa parla, davvero, Tenet?

Ho ricostruito (in compagnia di Tommaso Laganà) la trama secondo l’ordine cronologico degli eventi, esperimento piuttosto complicato, per un film che parla di loop temporali.

Tolti aerei che esplodono, colonna sonora martellante e salti sui palazzi in giro per il mondo, la trama si è rivelata ai miei occhi come un accrocchio buffo, misto di buchi e luoghi comuni. Ve ne riporto un pezzo di seguito (OVVIAMENTE SPOILER):

Per prevenire i problemi legati al riscaldamento globale, gli uomini del futuro inventano un modo per invertire il tempo, basato su un algoritmo (?). Lo scienziato che inventa l’algoritmo, sentendosi in colpa (visto che il mondo del passato verrebbe distrutto, una volta azionato l’algoritmo), lo suddivide in diverse parti (artefatti) e le nasconde nel passato (?).

Gli uomini del futuro finanziano quindi un russo (Sator) il cui scopo è raccogliere i pezzi dell’algoritmo, nasconderli in una cava in Siberia (?) e sigillarla con un’esplosione atomica, in modo che gli artefatti arrivino agli uomini del futuro.

Un’organizzazione di nome Tenet cerca di fermarlo, e il suo fondatore ingaggia se stesso del passato come uomo principale delle operazioni, e lo fa mandando indietro nel tempo uno dei suoi migliori amici, Neil (Robert Pattinson).

Per quale arcano motivo il fondatore dell’organizzazione ingaggi se stesso e lo faccia tramite un amico che non gli spiega assolutamente nulla, perché il russo dovrebbe voler trafficare algoritmi che distruggerebbero il suo presente di lì a poco, come le persone del futuro viaggino indietro nel tempo senza di fatto invecchiare sono tutte cose di cui la trama si occupa in modo piuttosto fumoso.

Il punto è che, come dice un personaggio all’inizio del film: “non lo devi capire, lo devi sentire“.

Sembra che Nolan si sia arreso all’idea che non serva più spiegare il perché delle cose, come a dire: se esplode abbastanza roba il pubblico non si fa troppe domande. E la sua intuizione è confermata dal fatto che il film è stato valutato con voti che vanno dall’8 al 10 da oltre la metà delle persone che l’hanno visto.

Se come sceneggiatore la cosa mi ha provocato un certo dolore fisico, non è possibile non notare che i blockbuster di punta dei principali franchise di oggi stiano tutti usando la trama come pallido espediente per muovere i loro personaggi (spesso privi di una reale psicologia, o addirittura di un nome, come nel caso del personaggio principale di Tenet) tra location impressionanti e scene d’azione mozzafiato.

Scoprire che nel nono capitolo di Star Wars il ritorno del viscido Palpatine, la cui sconfitta – ricordiamolo – ha richiesto ben TRE film della trilogia prequel, sia stato relegato a due righe di testo nel prologo introduttivo, è sufficiente per riassumere quello che sto dicendo. Eppure, anche in quel caso, il quasi 50% del pubblico di quel film l’ha premiato con voti che vanno dall’8 al 10.

La cosa, come già detto, mi ha spezzato qualcosa dentro.

Non posso però esimermi dal considerare che, se la maggioranza del pubblico non ha notato un problema in questi film, in realtà il problema semplicemente non c’è.

E in effetti, lo devo ammettere, ci sono caduto anch’io. Ci sono film con una trama inesistente o personaggi poco costruiti, dei quali non mi sono semplicemente accorto. Ne cito due: Mad Max: Fury Road e Dune (2021). E li ho amati entrambi.

In Mad Max la trama è riassumibile in una corsa di due ore avanti e indietro per il deserto, con dialoghi pari a zero, e una costruzione del mondo ridotta all’osso.

Lo stesso non è per Dune. La trama è di fatto una versione ridotta della struttura classica del “monomito“, (meglio noto come “viaggio dell’eroe“). Solo che Villeneuve non ritiene di impegnare il suo eroe in alcune tappe classiche, come ad esempio il rifiuto della chiamata (se non sapete di cosa sto parlando approfondiremo, intanto QUI c’è il rifiuto di Luke Skywalker alla chiamata di Leila /Obi Wan).

E ancora: Yoda con Luke, Gandalf con Frodo, Morpheus con Neo: il mentore è la figura che dà all’eroe le competenze morali e tecniche per affrontare la sfida a cui è chiamato. Non in Dune. Dunkan Idaho (Jason Momoa) non dà a Paul Atreides niente di niente, perché in fin dei conti il nostro eroe è “pronto così”.

Era un prescelto, proprio come Luke, ma a differenza di Luke era già pronto a compiere il suo destino.

Può sembrare una sciocchezza, ma pensateci bene: tutta la sofferta costruzione dell’eroe che ha caratterizzato le principali narrazioni del ‘900 è stata completamente spazzata via, e nessuno sembra essersi lamentato.

É chiaro che siamo di fronte ad un cambiamento epocale nella fruizione delle nostre storie.

Mentre ai vecchi film basati su una trama classica (potremmo chiamarli plot-driven) il pubblico si avvicinava cercando coerenza ed empatia nei personaggi, da questa nuova generazione di film pare si aspetti una esperienza estetica che abbia più a che fare con il ritmo. É lo stesso rapporto che abbiamo con un video musicale o un videogame.

Ecco, forse il rapporto tra questi due generi di film è lo stesso che c’è tra un videogioco story-based (Last of us) e un First person shooter (Warzone).

In entrambi si spara, ma il meccanismo che ci intrattiene è innegabilmente diverso.

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