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Di cosa parla Titane, il vincitore della Palma D’oro a Cannes

Di cosa parla Titane, il vincitore della Palma D’oro a Cannes

Titane è forse il film più discusso di quest’anno, e a ragione: è stato il vincitore della Palma d’Oro a Cannes, ma è veramente difficile riassumerne la trama. Tutto quello che trovate in giro è solitamente molto simile a ciò che ne ha detto Spike Lee, presidente della giuria che l’ha premiato:

«Ho visto moltissimi film, ma questo è il primo in cui una Cadillac mette incinta una donna.».

In questo articolo cercherò di dare una personale interpretazione di ogni punto della trama. Ovviamente da qui in poi: spoiler.

Una nota importante: guardando il film ho avuto l’impressione che la regista, Julia Ducourneau, non sia partita scrivendo il film da un’idea che ha poi sviluppato secondo il metodo “hollywoodiano”, quanto piuttosto il film sia nato legando immagini e scene forti, e che il significato del film sia quindi da ricercare nell’economia di simboli e parallelismi che il film manifesta.

Questa mia intuizione è confermata anche da un’intervista della regista, che in merito alla genesi del film ha detto: “Ero tormentata da un incubo: ero incinta e partorivo pezzi di un motore a scoppio. Mi sembrava una bella immagine e ho pensato che fosse intrigante legare entrambi questi elementi al mito greco di Gaia, la dea della Terra, e a Urano, il dio del cielo, dalla cui unione sono nati i Titani. In francese usiamo la e per declinare i sostantivi al femminile e così ho preso la parola Titan, che vuol dire Titano, e l’ho trasformata in Titane, titanio, per ottenere un chiaro riferimento al mondo dei motori”

Di cosa parla Titane

L’argomento principale del film è la mascolinità tossica, intesa come l’insieme di quegli atteggiamenti che, secondo la società, descriverebbero il “vero maschio” come possessore di alcune caratteristiche (ce ne sono altre, ma riporto solo quelle utili all’analisi):

  • sessualmente aggressivo
  • poco emotivo
  • competitivo nei rapporti con l’altro sesso
  • portatore dell’idea che nessun legame, se non di natura sessuale, possa esistere tra i sessi
  • il gruppo maschile visto come branco
  • l’idea che i “veri uomini” siano forti, e che mostrare emozioni sia segno di debolezza
  • l’idea che un vero maschio sia incapace di occuparsi della prole
  • l’unica manifestazione emotiva possibile per un uomo sia la rabbia
  • il terrore della demascolizzazione (cioè che esistano attività femminili che, se praticate da un uomo, gli facciano perdere la sua mascolinità)
  • l’incapacità di chiedere aiuto
  • portatore di stereotipi quali la passione per i muscoli e i motori
  • la “non certificata mascolinità” di chi non rispecchia questi stereotipi, spesso scambiata per omosessualità

Tutta la trama di Titane spiegata bene

Lo stupore che il personaggio principale desta da subito nasce dal fatto che molte di queste caratteristiche sono incarnate da una femmina sin dalle prime scene del film.

In apertura, infatti, vediamo la giovane Alexia avere un comportamento sfidante nei confronti del padre, il quale è rappresentato come distaccato e infastidito. E non è un caso che il metodo con cui la protagonista manifesta questa aggressività sia il rumore di un motore.

Quindi l’incidente, in seguito al quale le viene impiantata una placca in titanio. Questa sembra essere il catalizzatore che libera l’essere ibrido (femmina con ideali tossici maschili) che la ragazzina già incarnava.

Ellissi temporale, Alexia sta ballando ad un motorshow. Ha una sessualità aggressiva e la manifesta ballando su una muscle car, simbolo machista per eccezione. Non sembra attratta dagli uomini, sembra piuttosto che le piaccia l’idea di dominare lo sguardo maschile con il suo ballo.

Veniamo piano piano a scoprire che Alexia, negli anni che non ci sono stati raccontati, ha eliminato ogni relazione con gli altri, anche a causa della sua incapacità di esprimere i sentimenti.

L’unico sentimento a cui è in grado di dare sfogo è, infatti, l’aggressività, che manifesta sia sessualmente (morde i capezzoli della ragazza con cui ha una breve relazione, probabilmente attratta dal metallo dei piercing) sia uccidendo diverse persone (tra cui l’unica che fino a quel momento aveva manifestato amore nei suoi confronti).

Alexia riesce ad amare solo esseri simili alla sua altra metà (quella metallica), infatti scopre di essere attratta da un’automobile (non una a caso, ma sempre una muscle car, la più “tossicamente maschile” di tutte: poderosa, rombante, che la richiama con dei colpi violenti contro la porta del bagno e “la possiede” lasciandole lividi e segni).

Rimane incinta e odia suo figlio, ma soprattutto odia la maternità, perché non riconoscendosi come donna le è impossibile riconoscersi come madre.

Dopo aver ucciso diverse persone tenta di togliere la vita anche a suo figlio (con lo stesso strumento con cui ha ucciso le altre), ma senza successo.

Per scappare decide di allora di completare la sua transizione a maschio.

A salvarla è Vincent che, scambiandola per suo figlio, smarrito da anni, la porta a casa. Nonostante sia anche lui afflitto da mascolinità tossica (che lo porta a rischiare la vita iniettandosi dosi esagerate di steroidi pur di non perdere il suo fisico muscoloso a causa dell’avanzare dell’età, o a farsi chiamare “Dio” dai colleghi pompieri – altra mansione dall’immaginario fortemente machista), riesce a manifestare per il ritrovato figlio una forma di amore chiaramente materno, al punto che si preoccupa di svestirlo per lavargli i vestiti, e si preoccupa di cucinare per lui.

Si dimostra anche pronto, per la prima volta, a mettersi contro il gruppo machista dei pompieri, che vede di pessimo occhio il nuovo arrivato in quanto non risponde agli stereotipi di genere ed è quindi un NON-MASCHIO. In quanto tale, il non-maschio provoca una serpeggiante paura della demascolizzazione, culminata nella scena del ballo durante la festa, in cui Alexia, sfidata dal gruppo, usa le sue doti e la sua fisicità di ballerina per rendere questa danza deflagrante (e imbarazzante) per il gruppo.

Quando uno dei pompieri riconosce in Alexia la killer di cui si parla ai telegiornali e manifesta i suoi dubbi a Vincent, per tutta risposta Vincent lo lascia morire in un incendio. Il suo amore per quel figlio ritrovato va oltre a quello per il gruppo.

Alexia però non sopporta il suo novo padre, in quanto “maschio-non-maschio“. Sebbene all’inizio i due si conoscano “lottando”, e lei si dimostri in inferiorità fisica, contemporaneamente però lo tratta con disprezzo per le attenzioni e la dolcezza di cui la ricopre, e arriva sul punto di volerlo uccidere, ma qualcosa la trattiene. Per la prima volta prova empatia per la perdita che lo tortura, capisce di essere lei la fonte di tutta quella felicità.

Si mostra quindi nella sua femminilità (si mostra nuda, in bagno), e Vincent le dimostra in cambio amore e accettazione.

Incapace di riconoscere il sentimento che prova per lui, Alexia cerca di fare sesso con Vincent. Vincent però la rifiuta, venendo meno al mandato maschile (secondo la mascolinità tossica), di fare sesso con una donna giovane e attraente. Vincent non ha dubbi di essere una figura paterna, e non ha dubbi sulla natura non sessuale dell’amore che prova per quella ragazza.

Alexia si sente finalmente libera di esprimere la sua femminilità (dice il suo vero nome al padre) e muore durante il parto, consapevole che nonostante il figlio porti i segni del passato della madre (sia infatti mezzo uomo e mezzo macchina), verrà amato nel modo giusto da Vincent, padre e madre allo stesso tempo.

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